Nella Giacomelli

Siamo l’abisso che deve separare il passato dal futuro (Iréos, 1907)

Da qualche tempo, in libreria, è possibile incontrare una larga fioritura letteraria e storiografica dedicata a figure di donne ribelli, artiste, rivoluzionarie, femministe, aviatrici e partigiane che per lungo tempo erano rimaste ai margini, se non escluse, dalla storia ufficiale declinata prevalentemente al maschile. Il loro riconoscimento sociale era, al massimo, legato alla collaterale presenza a fianco di grandi personaggi – uomini – della politica quanto dell’arte, oppure per la “naturale” dedizione materna e il ruolo d’assistenza mostrati verso grandi cause o in occasioni di gravi contingenze, basti pensare al mito patrio delle crocerossine.

I primi venti anni del Novecento videro invece numerosi protagonismi femminili, autonomi e fuori dagli schemi, nella letteratura e nelle lotte sociali, che per molti versi anticiparono di un cinquantennio le espressioni più radicali dell’autodeterminazione femminista.

Nella Giacomelli (1873-1949), anarchica individualista lombarda, è stata a lungo sotto traccia anche nella memoria del movimento libertario, nonostante l’impegno militante e la forte tensione ideale che hanno connotato la sua vita e i suoi innumerevoli scritti: a tutti gli effetti, una «sentinella perduta», usando un’immagine cara a Maurizio Antonioli.

Di lei avevano già scritto, oltre allo stesso Antonioli, anche Pier Carlo Masini, Elena Bignami, Mirella Scriboni ed Elena Papadia, ma la recente biografia, curata da Ercole Ongaro, contribuisce notevolmente alla conoscenza storiografica del suo originale apporto all’anarchismo italiano, evidenziandone anche la vicenda umana, gli affetti e il pensiero spesso stridente nel dibattito tra le diverse correnti libertarie e socialiste dell’epoca, anche contro il predominio maschile dei compagni.

Collaboratrice e redattrice – sotto vari eteronimi – di molte testate sovversive (Sorgete!, Il Grido della Folla, La Protesta Umana, Volontà, Iconoclasta!, Umanità Nova, Pagine Libertarie, Era Nuova), nonché ideatrice del nome Umanità Nova per il giornale anarchico di cui quest’anno ricorre il centenario.

Ai compagni che avrebbero preferito una testata più agguerrita, lei rispose: «Invece no, Umanità Nova! […] Spartaco si accinge a spezzare le sue catene; le coscienze insorgono per la rinnovazione del mondo». D’altronde l’immane tragedia bellica era appena terminata e non si poteva dimenticare «un’umanità che ha acconsentito ad una guerra come quella avvenuta» e «che a guerra finita non sa ancora sollevarsi dall’abbietta soggezione dei suoi carnefici».

Simile intento di riscatto morale – e non soltanto d’emancipazione economica – si ritrova espresso pure sul primo numero del settimanale «L’Ordine Nuovo» diretto da Antonio Gramsci (1° maggio 1919) dove, nell’editoriale, si poteva leggere che, per «ridare all’umanità quanto ha perduto e quanto di cui ha bisogno per l’era nuova che si apre», «occorre[va] lavorare su un terreno nuovo, vergine, in cui i germi dell’avvenire trovino l’humus propizio, in cui l’umanità possa rinnovarsi e risorgere».

Inoltre il ruolo di Nella Giacomelli si rivelò fondamentale ad ogni livello nella prima fase gestionale del quotidiano anarchico, dimostrando grandi capacità organizzative e persino amministrative.

Autrice anche di testi teatrali e di un ricco epistolario, dedicò il suo impegno soprattutto alla lotta contro il militarismo, con forte intransigenza etica (smentendo anche la leggenda degli anarchici individualisti e antiorganizzatori tutti sostenitori dell’interventismo), tanto da vederla nel 1915 e nel 1916 denunciata e arrestata, assieme all’amica e compagna Leda Rafanelli, per proteste in piazza contro la guerra.

Tale irriducibile antimilitarismo, la portò ad entrare in urto con vecchi amici e compagni, passati al partito della guerra, e a criticare aspramente le donne che non erano state in grado di rivoltarsi per impedire il massacro dei propri cari; così come scrisse in due articoli del 1919: La leggenda dell’amor materno e Le donne e la guerra, accusando indistintamente: «fabbricatrici di proiettili, impiegate, dame patriottiche, crocerossine, pescecagne». Questa complicità, oltre che la maggioranza delle donne del popolo e della classe lavoratrice – pur se non mancarono diverse ribellioni – vide peraltro l’ancor più grave responsabilità di donne, intellettuali e progressiste, che sostennero e propagandarono le ragioni della guerra, prima in Libia e poi durante il primo conflitto mondiale quali: Sibilla Aleramo, Matilde Serao, Ada Negri, Margherita Sarfatti, Anna Franchi.

Pur auspicando il prevalere della pace «su la tempesta di fuoco e di sangue che imperversa senza tregua» per l’affermarsi della fratellanza umana, l’opposizione di Nella alla guerra non è pacifista né religiosa: «nel trionfo bestiale delle forze nemiche e nell’abuso spudorato che se ne fa contro di noi, per il nostro annientamento e la nostra soppressione, contro ogni diritto ed ogni giustizia, non ci sia che una preparazione: quella degli animi, per la rivincita di domani. Abbeveriamoci di fiele, amici, nutriamoci di collera, perché per il giorno che verrà si sappia essere spietati ed insensibili. Alleniamo lo spirito alla vendetta, indurendolo nello spettacolo feroce di questa criminosa gazzarra di potenti, in cui tanto strazio si fa d’ogni sentimento umano».

Al termine del primo massacro mondiale, Nella s’immerge nel clima di riscossa sociale, ma sempre consapevole della necessità di rinnovare l’umanità anche moralmente, per una maggiore consapevolezza individuale: «se non si tiene conto della materia uomo e si attribuisce la sua elevazione e la sua perfezione ai miracoli del determinismo economico, la rivoluzione darà delle sorprese».

Rifiutando l’etichetta di “educazionista”, «sogna la punizione esemplare di quelle classi che monopolizzando tutti i mezzi ed attribuendosi tutti i diritti, hanno fatto scempio delle qualità più belle e più nobili dell’uomo, degradandolo al livello del bruto e dello schiavo» e «che una immensa rivoluzione sconvolga il mondo, distruggendo ordini, leggi ed usanze, lasciando sfrenarsi l’insurrezione di tutte le passioni esasperate, sature di sofferenza, avide di revanche, affamate di vendetta» Ed aggiunge «qualunque sistema nascesse all’indomani della grande rivoluzione, sarà sempre migliore del sistema nefando e obbrobrioso, sotto cui agonizziamo! […] io ho immedesimato l’Anarchia nell’Umanità nuova, che certamente sarà il prodotto d’un profondo cambiamento di regimi sociali, ma non potrà essere l’immediato risultato d’una rivoluzione».

Nuovamente arrestata nel 1921 e poi costantemente sorvegliata durante il regime fascista, mantenne le proprie convinzioni e riflessioni attorno alla costante ricerca di un equilibrio tra libertà individuale e responsabilità collettiva, «in quanto che la libertà individuale sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà il rispetto reciproco di essa».

emmerre

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Ercole Ongaro, Nella Giacomelli. Un’anarchica controcorrente, con prefazione di Maurizio Antonioli, Milano, Edizioni Zero in Condotta, 2019, pp. 188, Euro 15.00

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